1998: Marina Masoni diventa presidente del Consiglio di Stato. Prima donna nella storia ticinese ad aver assunto tale carica. Ritiene che questo momento abbia significato una nuova era nella politica del Cantone?

È un fatto che nell’aprile 1995 per la prima volta nella storia del canton Ticino una donna è stata eletta in Consiglio di Stato. Ci sono quindi voluti 24 anni dalla concessione del diritto di voto e di elezione alle donne. È lo spazio di una generazione. Troppo, veramente troppo. Quindi la mia elezione è stata certamente una tappa significativa: la dimostrazione che una nuova possibilità era concretamente aperta alle donne. Una nuova era non direi: la nuova era è quella iniziata appunto nel 1971 con il voto alle donne. Un diritto che ci è stato negato a lungo e che ci era stato negato ancora nella votazione popolare del 1959. All’interno di questa nuova era, che è l’era della democrazia compiuta (prima, la nostra, era una democrazia a metà), il 1995 è stato però un passaggio importante. È stata la concretizzazione della conquista di 24 anni prima. È arrivata tardi, ma è arrivata. È caduto prima il Muro di Berlino del muro ticinese che separava la donna dal Governo. A pensarci non sembra vero.

 

Come ha detto lei, dal 1971 al 1995 sono tanti anni, sintomo di una politica che probabilmente non era pronta ad accogliere una donna in senoa a un esecutivo: per questo motivo ci sono stati ostacoli o problemi che ha incontrato durante il suo percorso politico?

Quando si discute di attività di singole persone fatico parecchio a ragionare in base allo schema uomo/donna. L’attività politica ha una fortissima componente personale: quello schema è quindi una camicia di forza interpretativa. Il carattere, le competenze, la personalità individuali incidono molto di più. È tuttavia un fatto che le donne negli esecutivi sono ancora poche ed è vera una cosa: a parità delle altre condizioni, le donne – in politica, ma anche negli altri settori che si sono loro aperti recentemente  – devono superare un esame in più.

 

Ancora oggi?
Questa svolta non c’è stata ancora. Chissà quando avverrà. La spia che ci dice che non è ancora avvenuta è il linguaggio. Come documentato da diversi studi e ricerche sull’uso di aggettivi diversi per la stessa qualità: ad esempio l’uomo è determinato, la donna è testarda. Quando si arriverà a dire che la donna in politica, quando applica fermamente e con coerenza, i suoi valori e principi e si batte per conseguire i suoi obiettivi, è determinata (e non testarda), ecco che la conquista del 1971 sarà compiutamente realizzata.

 

E’ per questi motivi che, una volta eletta e differentemente da tanti suoi colleghi, si è presentata con un programma politico ben definito? Si sentiva nella posizione di dover dimostrare subito qualcosa agli scettici?
Ho presentato un programma perché volevo che elettrici ed elettori conoscessero e valutassero il mio progetto politico: le idee e gli obiettivi per il Paese per quali mi sarei impegnata. A ogni elezione ho poi portato un rendiconto su quanto realizzato, perché l’elettorato potesse valutare anche il risultato concreto. Penso che alla politica farebbe bene se diventasse un’abitudine diffusa.

 

Durante la sua esperienza in Consiglio di Stato la sua gravidanza, di cui non si è saputo nulla fino all’ultimo momento, è stata oggetto di illazioni e mere speculazioni. Come mai tanta riservatezza, anche nei confronti della cerchia di persone più vicina a lei?
Per una mia riservatezza personale naturale, ma anche e soprattutto perché in politica il giudizio deve essere sui progetti. Ne sono convinta ancora oggi, anche se il vento soffia in un’altra direzione.

Per anni il suo percorso politico è stato in costante ascesa e ricco di successi. Poi il brusco stop, fatto di accuse e di giochi interni al suo partito che hanno fatto concludere la sua esperienza politica. Può darci una sua versione dei fatti?
Sono fatti noti. Son passati più di dieci anni. Non mi sembra utile riaprire quella discussione. Anche perché chi si era fatta un’idea negativa non l’ha certamente cambiata; e chi aveva invece difeso la mia posizione penso che sia tuttora convinto dell’infondatezza di quegli attacchi. Su un piano più generale, c’è stata in quell’anno e mezzo una mobilitazione di forze (politiche, giornalistiche) raramente viste in passato contro un esponente del Governo. Un qualcosa che ricordava gli istinti del branco. E l’establishment del partito dell’esponente del Governo aveva giocato sporco.

 

In quel periodo parte della stampa è stata spietata con lei, crede che si sia sfruttata l’arma del sessismo per attaccarla, come accaduto in particolare con una copertina del Diavolo?

Il Diavolo è un caso a sé in quanto apertamente satira. Vero che anche la satira non riesce sempre: comunque l’autore di quella copertina si è pubblicamente scusato. Per la stampa vale quanto detto su un piano più generale per l’uso di termini diversi riferiti alle medesime qualità individuali e argomenti diversi per criticare una donna. Nessun uomo di governo verrebbe criticato per quello che fa suo papà. O sua moglie. Lungi da me tuttavia il vittimismo. I mezzi usati sono diversi per una donna, ma sono stata attaccata per le mie idee e per le mie realizzazioni, non perché ero una donna in Governo. Questo fa parte della dialettica democratica. Chi non ha profilo, chi non propone una visione politica forte, chi realizza poco o nulla, chi si determina solo dopo aver sentito gli altri, chi scambia la collegialità per fine anziché un mezzo, non è un bersaglio, non suscita particolari reazioni.

 


Pensa che oggi, visti i casi dei permessi facili e di Argo One, ci sia un metro di misura da parte dell’opinione pubblica meno severo rispetto a quello utilizzato nei suoi confronti?

Ci sono scandali più scandali e scandali meno scandali. Ci sono fatti uguali o comportamenti uguali che vengono giudicati molto diversamente a seconda dei protagonisti. È il classico metodo dei due pesi e delle due misure: fa parte dell’armamentario politico. Non si intravedono cambiamenti a questo proposito. È il moralismo selettivo: su certi fatti si accendono tutti i riflettori, anche quelli che accecano e che non permettono più di vedere, e su certi altri fatti si chiude un occhio e talvolta tutti e due. Un esempio? Il cartello dell’asfalto in Ticino, un accordo illegale che ha sottratto ad enti pubblici e a privati decine e decine di milioni di franchi. La Comco aveva usato parole durissime. Qui si son quasi fatte spallucce. Vale sempre l’aforisma di Ernest Renan spesso citato da Indro Montanelli: “Nella mia vita ho conosciuto molti furfanti che non erano moralisti, ma non ho mai conosciuto un moralista che non fosse un furfante”. Guardiamo a quello che sta succedendo in Italia: ci sono ampie e solide conferme.

 

Hanno influito di più i tanti successi politici o l’amaro epilogo, nella sua carriera “post-Bellinzona”?
Paradossalmente l’epilogo non è stato tanto amaro, perché arrivato dopo una campagna senza esclusione di colpi. Per me l’importante è sapere di aver fatto il possibile e aver dato agli elettori la possibilità di scegliere. Il bel risultato nel Luganese e nel Mendrisiotto ha confermato che ne valeva la pena. Ho poi sempre rispettato e accettato serenamente la scelta dell’elettorato ticinese. E, fortunatamente, anche il post-Bellinzona è stato ed è molto positivo.

 

Donna in carriera, con importanti successi lavorativi e politici. E mamma. Per anni è stata il simbolo femminile del Plr. Ma esiste un modello di “donna di destra”?

Le donne hanno conquistato con molta fatica, sull’arco di qualche secolo, il diritto di scegliere, il diritto di non dover rientrare in un ruolo modello unico. Non vorrei riproporre un modello di donna, né di destra, né di sinistra, né liberale, né conservatrice. Ogni donna ha il suo modo di essere e deve sentirsi libera di portarlo in politica e in quello che fa. Guai se ricominciassimo, da una parte o dall’altra, a ingabbiare le donne in un modello.

Pubblicato il: 11/06/2018