1. Lei, prima da responsabile del DFE e poi da presidente di Ticino Moda, è sempre stata in prima linea nel promuovere l’economia ticinese. Ci può dire in che modo è cambiata negli anni?

Dobbiamo tenere ben presenti almeno cinque fattori che hanno cambiato in modo sostanziale il contesto nel quale l’economia ticinese opera: a) la maggiore apertura del mercato determinata dagli Accordi bilaterali, soprattutto con la libera circolazione delle persone, dal 1. giugno 2002 a tappe, fino alla piena applicazione dal 2007; b) la crisi del debito, con le successive gravi ripercussioni sulla finanza internazionale e sulla crescita economica, nel 2007-2008; c) il parziale smantellamento del segreto bancario in parte come conseguenza di quella crisi internazionale; d) l’indebolimento strutturale dell’economia italiana; e) la solidità e il rafforzamento del franco svizzero. Questi cinque fattori hanno esercitato una pressione molto forte sull’economia ticinese. Che ha saputo comunque affrontare bene la nuova situazione, diversificandosi ancor più, in particolare nel ramo industriale. L’economia ticinese ha creato parecchi posti di lavoro e ha evitato il rischio di un degrado generale dei livelli salariali, che molti temevano. Ci sono sì situazioni problematiche, e anche casi non dignitosi, ma nell’insieme i numeri misurati dalle diverse statistiche ci dicono che il Ticino finora ha retto. Il merito è anche della contrattazione collettiva.

 

2. Scondo lei oggi di che cosa ha bisogno il Ticino economico per diventare ancora più attrattivo?

Dobbiamo agire su molti fronti, dalla scuola e formazione, ai collegamenti, alla certezza del diritto, alla cultura. Ma ci sono almeno cinque esigenze che sono ormai diventate emergenze: a) recuperare concorrenzialità fiscale. Molti non vogliono sentir parlare di questo problema, ma i fatti purtroppo parlano un linguaggio molto chiaro: abbiamo perso terreno nella fiscalità. In un mercato aperto le aziende e gli investitori sono molto sensibili su questo fronte; e non è un discorso limitato alle imposte dirette, bensì esteso anche a tutte le tasse causali e a molte altre scelte che generano costi troppo elevati a chi fa impresa; b) ridurre i tempi e i costi delle procedure burocratiche necessarie per realizzare nuovi progetti aziendali che devono confrontarsi con i limiti della pianificazione territoriale, e con l’ottenimento delle più svariate autorizzazioni e licenze: sono vere e proprie corse ad ostacoli, che ci penalizzano; c) salvaguardare l’apertura del mercato, quindi il quadro di riferimento dei Bilaterali: per un’economia con una forte componente d’esportazione questo è essenziale; d) dare maggiore efficacia ai collegamenti: sono stati fatti passi avanti (pensiamo all’AlpTransit, alla galleria Vedeggio-Cassarate), ma la nostra mobilità è ancora troppo a rischio. Basta un piccolo incidente e tutto si ferma – e il completamento di Alptransit (Lugano-Chiasso e Cadempino-Biasca) non è nemmeno progettato; e) restituire vita ai centri cittadini, in particolare a Lugano: per il turismo e il commercio questo è fondamentale; le opportunità date dal LAC vanno colte appieno.

 

3. Quali sono e saranno i settori chiave sui quali il Ticino deve insistere? Perché?

La questione è controversa e rischiosa. Dobbiamo naturalmente prepararci e pensare a lungo termine, ma sarebbe un errore calare sulla realtà economica schemi dirigistici. Non possiamo né siamo in grado di programmare i contenuti del fare impresa in Ticino. Sono scelte che spettano esclusivamente agli imprenditori e agli investitori. Così come non siamo in grado di dire che professioni faranno sull’arco della loro vita le ragazze e i ragazzi che oggi frequentano le scuole elementari. Quindi la risposta più appropriata è: diversificazione. Nella formazione, questo significa che dobbiamo dare ai giovani una buona preparazione e cultura generale e soprattutto insegnare a imparare. Quanto più diversificata sarà l’economia ticinese, quanto più chi vive sul nostro territorio sarà in grado di imparare e ri-imparare, tante più opportunità il Ticino avrà di inserirsi in modo vincente nel contesto economico generale.

 

4. La politica qualche strumento per orientare l’economia lo possiede. Secondo lei quali misure sono necessarie per incrementare il PIL?

Dobbiamo innanzitutto essere un territorio e una comunità ben disposti e accoglienti nei confronti delle attività imprenditoriali. Sembra una banalità, ma non è affatto scontato che sia così. Lo abbiamo visto in tempi recenti. La partenza di alcune imprese è stata salutata da molte persone come una notizia positiva. Questo è un segnale d’allarme: competenze, attività, gettiti, posti di lavoro persi non possono essere una notizia positiva. Anche perché chi sostiene queste tesi (come ad esempio quella che il settore della moda non sia utile allo sviluppo del Ticino), non indica alternative su cui puntare. È un atteggiamento pericoloso. Non ci sono rami buoni e rami cattivi: questo manicheismo non fa crescere di un solo franco il PIL e nemmeno contribuisce a migliorare le condizioni generali. Tutt’altro. Gli strumenti più efficaci per incentivare, più che orientare, l’economia sono noti: fiscalità attrattiva, burocrazia contenuta, certezza del diritto, giustizia celere, mobilità efficace, risorse umane qualificate, apertura del mercato, servizi efficienti, buona qualità di vita.

 

5. I rapporti del Ticino con l’Italia, negli ultimi anni, hanno fatto molto parlare (leggi frontalieri, ristorni, padroncini, ecc). A suo giudizio la strada intrapresa dal Governo cantonale e da quello federale è quella giusta oppure occorre agire diversamente?

I problemi con l’Italia non derivano dagli Accordi bilaterali, ma dall’indebolimento strutturale del sistema economico italiano. Questo fattore crea pressione sul Ticino e tensioni politiche. L’Italia che arranca non concede ciò che dovrebbe essere normale in un contesto di apertura del mercato. Se a questo aggiungiamo i chiari di luna politici nella penisola, ecco spiegate le difficoltà che perdurano. Roma non riesce a trovare una soluzione per la situazione disperata in cui si trova il Comune di Campione d’Italia: figuriamoci se è pronta a risolvere le questioni aperte con il nostro Paese. Pertanto, finché l’Italia non ritroverà la via della crescita economica sana e duratura, sarà difficile che i rapporti con Roma non facciamo più parlare e polemizzare. Berna e Bellinzona fanno quello che possono: le soluzioni non dipendono solo o tanto da loro.

 

6. Mi dà tre aggettivi per descrivere il Ticino economico?

A tratti timoroso, a tratti coraggioso, ma sempre concreto, tenace, competente.

 

Marina Masoni / 27.02.2019

Pubblicato il: 27/02/2019