Donne in cammino, Bellinzona, 19 ottobre 2019

Mezzo secolo, soltanto mezzo secolo, è trascorso da quel 19 ottobre 1969. Oggi celebriamo la conquista di un diritto per il riconoscimento del quale le donne (e, va riconosciuto, anche molti uomini, spesso convinti da madri o compagne forti) hanno dovuto impegnarsi lungamente: nella nostra democrazia, così moderna per tanti altri versi, forse e paradossalmente più che in quella di altri Paesi.

Non ci sembra quasi vero che un giorno prima di 50 anni or sono il diritto di votare, di essere candidate e di essere elette, non ci fosse ancora dato. In questa bella corte del Municipio di Bellinzona ricordiamo e celebriamo le undici pioniere che, con le elezioni cantonali del 1971, ottennero il mandato di rappresentare i cittadini e, per la prima volta, anche le cittadine che si esprimevano con il proprio voto nel potere legislativo. Linda Brenni, Dionigia Duchini, Ersilia Fossati, Elsa Franconi-Poretti, Rosita Genardini, Elda Marazzi, Rosita Mattei, Alice Moretti, Dina Paltenghi-Gardosi, Ilda Rossi, Marili Terribilini-Fluck: undici elette in un Gran Consiglio di 90 seggi.

Il percorso di democratizzazione e liberalizzazione per arrivare fin qui era stato molto, molto lungo. Quasi due secoli erano trascorsi dalle prime affermazioni moderne dei diritti di libertà e uguaglianza della dichiarazione americana di indipendenza del 1776, attraverso la dichiarazione dei diritti universali e le costituzioni francesi, poi la diffusione qui in Europa, con confronti dolorosi, avanzamenti, battute d’arresto e passi indietro. A settant’anni dalla dichiarazione di indipendenza, la Costituzione svizzera del 1848 aveva riconosciuto a livello svizzero il suffragio denominato universale, ma in realtà riservato solo agli uomini. Di qui, sono occorsi altri 123 anni perché la Confederazione riconoscesse che questo diritto di voto e di eleggibilità non è universale se le donne ne sono escluse: la modifica della costituzione federale che riconosce il diritto di voto alle donne è stata approvata nel 1971. Il Ticino è arrivato qualche anno prima, nel 1969. 121 anni dopo la Costituzione federale del 1848.

Erano occorsi 70 anni dalla dichiarazione di indipendenza americana per tradurre i principi di libertà e uguaglianza nel suffragio universale della costituzione svizzera. Poi sono occorsi oltre 120 anni perché in questa idea di “universale” entrassero anche le donne. I decenni non si contano più.

E il percorso non era naturalmente concluso. Così come il riconoscimento costituzionale del diritto di voto universale (solo per uomini) della Costituzione Federale del 1848 era stato poi realizzato in concreto molto lentamente, il diritto di voto e di eleggibilità della donna si è realizzato e si realizza in modo estremamente lento, forse ancor più lento.

Pensate: abbiamo dovuto aspettare 50 anni, fino alle ultime elezioni cantonali, quelle di aprile, per vedere per la prima volta occupati da deputate almeno tutti i seggi supplementari che erano stati aggiunti nel Parlamento cantonale proprio in considerazione dell’estensione del diritto di voto e di eleggibilità a noi donne.

I seggi del Gran Consiglio riservato agli uomini erano 65. Subito dopo la votazione popolare del 19 ottobre 1969, in tempi record, Governo e Parlamento proposero una modifica costituzionale per l’aumento dei seggi del Gran Consiglio, accolta in votazione popolare il 31 maggio 1970. Niente ha mai unito il mondo politico e accelerato i suoi tempi come il salvataggio della sedia. In sette mesi e 12 giorni, i seggi del nuovo Gran Consiglio aperto finalmente anche a noi donne sono diventati 90. Ma solo quest’anno – 49 anni dopo – quei 25 seggi in più sono stati tutti attribuiti a deputate. Non era mai successo. Ci eravamo andate vicine nel 2015 con 22 elette. Ci siamo arrivate in aprile con 31 elette. Ce n’è voluto di tempo.

Vedete bene, dunque, quanto sia lunga e irta di ostacoli la strada verso una vera parità in campo politico. E siamo ancora lontane dalla meta. Anche perché non sono stati compiuti soltanto passi avanti. Ci sono stati anche passi indietro. Molto preoccupanti.

Pensiamo al Consiglio di Stato tutto al maschile per la seconda legislatura consecutiva. È vero che l’essere donna non è di per sé sufficiente per entrare nel Governo cantonale. Ma è non meno vero che di donne oggi in grado di svolgere il complesso e impegnativo ruolo di consigliere di Stato, almeno alla pari con i ministri uomini, ce ne sarebbero non poche.

Ed è questo il punto: a parità di capacità, di qualifiche, di personalità, c’è ancora oggi qualcosa che penalizza in qualche modo la candidata rispetto al candidato. Per una ragione o per l’altra, per quanto concerne l’Esecutivo siamo ai piedi della scala. Una situazione a dir poco disarmante. E per quanto attiene al Legislativo, come detto, solo quest’anno è stato per così dire raggiunto il minimo sindacale.

I partiti, soprattutto loro, devono ancora lavorare molto per promuovere la presenza femminile nelle istituzioni e per garantire una effettiva parità di partenza: dal livello istituzionale più vicino ai cittadini, il Comune, su su fino alle cariche federali. E permettetemi qui di ricordare anche Alma Bacciarini, la prima donna Ticinese eletta in Consiglio Nazionale, nel 1979.  Quanti Comuni ticinesi non hanno mai avuto una sindaca? Quando in Consiglio di Stato avremo di nuovo almeno due donne? Quando manderemo alla Camera dei Cantoni la prima rappresentante del Ticino? E quando potremo veder eletta la prima donna del nostro Cantone nel Consiglio federale?

Avessimo conseguito una parità piena in ambito politico, non ci porremmo nemmeno queste domande. Sarebbero domande superate dai fatti, cioè dall’avanzamento delle donne, con le individualità, le personalità, le competenze, le capacità, il profilo politico di ognuna, nelle istituzioni. Raggiunta la meta, la domanda non sarebbe più: quando una donna agli Stati o in Consiglio federale? Bensì: quale donna? Con quali idee e quale visione?

Il fatto che tutte queste domande, tante, non abbiano ancora una risposta ci dice invece che il 1969 è stata solo la prima pietra di un edificio tuttora in costruzione. Una prima pietra fondamentale, certo, ma una prima pietra, non la casa a tetto.

Per questo l’esempio delle undici deputate pioniere nella nostra democrazia è da ricordare e coltivare. Prima di tutto per la gratitudine verso queste valorose “apripista”. Ma anche quale richiamo di attenzione costante rivolto ai partiti (spetterebbe prima di tutto a loro attivarsi nell’incentivare e promuovere candidature femminili non di mera facciata) e alla società civile (affinché scompaiano certi pregiudizi non ancora del tutto superati). Pietra dopo pietra l’edificio della parità va costruito con la stessa determinazione di queste pioniere, con la medesima tenacia, costanza e forza d’animo. E con pari coraggio politico.

Questo anniversario sia quindi una festa che, con la solida coscienza del lungo passato, ci faccia guardare avanti e lavorare per il futuro. Vi ringrazio.

 

Marina Masoni / 18.10.2019

Pubblicato il: 19/10/2019