Periodicamente si riapre in Ticino il dibattito pubblico sulla salvaguardia di edifici storici o comunque architettonicamente pregiati. Recentemente il dibattito si è aperto e allargato ad alcune infrastrutture o ornamenti urbanistici. Due soli esempi probabilmente noti al di qua del San Gottardo. Sulla piccola penisola da cui parte il ponte-diga di Melide (denominata La Punta) è stata abbattuta alla fine dell’estate l’ottocentesca Villa Galli. Affacciata a sud, ai più era nota come La Romantica. Trasformata negli anni Cinquanta in ristorante e albergo, la villa è stata difesa fino all’ultimo da architetti e politici per i quali il Ticino non può fare tabula rasa della sua identità architettonica. Sul terreno dove sorgeva la villa verrà probabilmente costruita un’anonima palazzina.
A Lugano, in zona Cassarate, tra l’area fieristica del Padiglione Conza e il Lido, c’è un bellissimo viale alberato, una strada lunga non più di 200 metri, con due carreggiate larghe e due filari di ippocastani. È il viale Castagnola, elemento oramai connaturato all’identità urbanistica della città. Poche settimane fa il Municipio aveva annunciato l’intenzione di abbattere tutti gli ippocastani, eliminare completamente uno dei due filari, ornare l’altro con una esotica, il Ginkgo, e inserire una pista ciclabile. C’è stata subito una levata di scudi dei luganesi: dapprima sui social network, poi con una raccolta di firme per la difesa degli ippocastani. È infine emerso non ci si era accorti che il viale alberato fosse tutelato in quanto bene culturale e pure vincolato dalle norme del Piano regolatore votate dal Consiglio comunale. Ora tutto è fermo in attesa di una nuova perizia sullo stato di salute degli ippocastani.
Una sconfitta, dunque, a Melide, un successo a Lugano per i fautori della conservazione architettonica e urbanistica contro gli innovatori. È un confronto destinato e prolungarsi e inasprirsi con la crescita demografica e con lo sviluppo economico della città. Quale insegnamento ne possiamo trarre? È certo che una comunità in crescita, che abita, lavora, si diverte in un territorio oggettivamente limitato, ha bisogno di nuovi spazi. Deve quindi forzatamente ricavarli anche all’interno dei vecchi spazi, abbattendo qualcosa che esiste per costruire qualcosa di nuovo. Non sempre ci si può limitare alle ristrutturazioni. Del resto i grandi monumenti religiosi e civili in tutta Europa sono stati edificati abbattendo monumenti preesistenti: il Duomo di Firenze non ci sarebbe se nel XIV secolo i fiorentini non avessero abbattuto la vecchia chiesetta di Santa Reparata. Ecco, il punto è proprio questo: si può certamente e anzi si deve anche distruggere per poter costruire. Ma si dovrebbe fare sì che il nuovo contribuisca a caratterizzare in modo diverso l’identità architettonica e urbanistica di una città, non a cancellarla. Gli elementi identitari del paesaggio costruito che vengono sacrificati non dovrebbero essere sostituiti con la banalizzazione architettonica e l’anonimato o l’astrusità urbanistici. Certo, siamo nel campo aperto dell’opinabile: ma qualche paletto tra il pregevole e l’insignificante va pur piantato e conservato.
MM / 23.12.2013
Articolo apparso sulla NZZ am Sonntag il 12 gennaio 2014 con il titolo “Abreissen, um zu bauen”
Pubblicato il: 20/01/2014