Un cantone sulla difensiva e che si richiude in se stesso: questa l’immagine del Ticino di oggi. È l’immagine di una crisi di fiducia dettata dal timore per l’impatto di quanto avviene all’esterno, in particolare in Italia. Il Parlamento cantonale ha preso nella sua ultima sessione alcune decisioni inequivocabili a questo proposito: l’introduzione di un “marchio etico” per le imprese che impiegano manodopera residente e non frontalieri (la gestione del marchio sarà affidata alle associazioni economiche – che però sono contrarie – e non allo Stato); l’introduzione di un albo delle imprese artigianali (nei rami legati all’edilizia: le imprese potranno lavorare in Ticino, per gli enti pubblici e per i privati, solo se iscritte, appunto, all’albo (questa decisione è stata approvata quasi all’unanimità: solo un deputato del PPD l’ha osteggiata, osservando molto opportunamente che il nuovo regime è incompatibile con la legislazione federale sul mercato interno). E poi ancora: è stata approvata un’iniziativa parlamentare socialista che propone interventi per arginare gli effetti sul superfranco; tra questi interventi ci sono i buoni acquisto da consumare localmente in alberghi e ristoranti, buoni acquisto che il Cantone dovrebbe sostenere. Infine, è stata data luce verde all’iniziativa popolare costituzionale dei Verdi per l’introduzione di salari minimi differenziati per rami economici, al fine di contrastare di fatto il frontalierato (il popolo dovrà votare in giugno, dopo le elezioni cantonali). Sono tutti segnali che vanno nella medesima direzione: molti ticinesi, la maggioranza, sono stanchi dell’apertura portata dagli Accordi bilaterali con l’UE, vivono male le conseguenze della crisi economica italiana che, con un mercato del lavoro aperto, si fanno sentire molto in Ticino (frontalieri, lavoratori distaccati, padroncini che sottraggono impieghi e lavoro ai ticinesi e alle imprese locali). C’è stata una svolta: la frontiera non è più vista come un’opportunità di crescita e di aumento del benessere, ma come una minaccia al benessere costruito negli anni passati. Questa visione fa breccia trasversalmente in quasi tutti i partiti, non più solo nella Lega dei ticinesi e nell’UDC. È una svolta pericolosa. Storicamente, il Ticino ha dato il meglio di sé quando si è aperto alle idee, alle persone, alle imprese provenienti da fuori, quando ha dimostrato la capacità di cogliere positivamente questi impulsi esterni. Oggi invece tutto ciò che viene da fuori è guardato con diffidenza: è negativo per definizione. Si annunciano anni molto difficili da gestire politicamente, anche nelle relazioni con il resto della Svizzera.
Marina Masoni
Articolo apparso sulla NZZaS il 5 aprile 2015 con il titolo “Gefährliches Inseldasein”
Pubblicato il: 13/04/2015