Dagli eccessi del mercato stiamo passando agli eccessi dello Stato, che si comporta in questa crisi dei mercati finanziari come molti manager si sono comportati negli anni dell’euforia dei mercati. Esorbitanti debiti pubblici vengono decisi per assorbire esorbitanti debiti privati e in parte pubblici, con iniezioni di danaro che non sono mai sufficienti e determinano un continuo gioco al rialzo. Le conseguenze potrebbero essere molto pesanti a medio-lungo termine (forte indebitamento pubblico, aumenti fiscali, inflazione elevata). Stiamo assistendo ad un processo di cartolarizzazione globale ad opera dello Stato (con i soldi dei contribuenti), che rimuove e cancella le responsabilità di una crisi molto grave, impedendo che queste responsabilità vengano sanzionate come dovrebbe essere.
Passato l’annus horribilis dell’economia mondiale (il 2008) è possibile oggi guardare con il sufficiente distacco a quanto è successo.

Negli Stati Uniti è avvenuto ciò che avverrebbe in una potente automobile il cui serbatoio, anziché con benzina senza piombo, fosse riempito con gasolio da riscaldamento. Se l’auto non marcia più, la causa non è il motore troppo potente, che moltiplica l’energia sprigionata dalla benzina, ma il carburante sbagliato.

 

Le ipoteche subprime
Negli ultimi 15 anni almeno, il motore di quello che molti hanno definito “turbocapitalismo finanziario americano” è stato alimentato anche con le ipoteche subprime, cioè i prestiti concessi a persone a forte rischio di insolvenza. Ne sono stati concessi in quantità smisurata, senza nessuna considerazione del rischio. Questa distorsione è stata costruita su una scommessa sconsiderata: che il valore dei beni immobili aumentasse di continuo, all’infinito, senza soste e senza cadute (sebbene la storia economica ci dica che vi sono stati periodi, anche prolungati, di deprezzamento dei valori immobiliari). L’aumento dei valori era la polizza assicurativa fittizia e ingannevole di chi prestava danaro facile.

Per eliminare il rischio residuo, banche private e agenzie statali o parastatali hanno impacchettato i mutui subprime in strumenti finanziari. A loro volta questi strumenti sono stati assicurati con altri strumenti finanziari. Il rischio concentrato nei mutui subprime è stato diluito in tutto il sistema. Il gasolio da riscaldamento si è così diffuso nel carburatore, nei cilindri e nei pistoni che giravano a pieno regime. Il motore, per finire, è scoppiato. Per quali ragioni?

 

La politica della Fed
L’accesso ai mutui subprime è stato favorito dal basso costo del denaro, determinato da una politica monetaria espansiva da parte della Federal Riserve a partire dal 2001. L’ente che il monopolio sulla moneta ha aumentato in misura mai vista in passato la massa monetaria in circolazione. Talmente a dismisura che ad un certo punto non ha più pubblicato i dati sulla quantità di moneta.

Obiezione legittima: ma se il mercato offre in abbondanza denaro a basso costo (tassi di interesse molto contenuti), nessuno è comunque obbligato a prestarlo a persone non in grado di rimborsarlo; chi lo presta, lo fa a suo rischio e pericolo e se ne deve assumere la responsabilità.

In una situazione di mercato non distorta, in cui le banche sono libere di decidere a chi concedere mutui e a chi no, ciò è vero. Ma questa non era e non è la situazione del mercato immobiliare americano. Dal 1977 una legge federale impone alle banche di concedere mutui ipotecari non in base a requisiti di solidità finanziaria, ma secondo criteri sociali: i crediti vanno concessi alle minoranze etniche e alle categorie di cittadini con redditi bassi.

 

Due leggi deleterie
La legge che prevede tutto questo è il Community Reinvestment Act, emanato dal Governo di Washington sotto l’Amministrazione di Jimmy Carter. Questa legge è stata riformata e potenziata nel 1995, sotto la presidenza di Bill Clinton. Il CRA persegue un obiettivo nobile: favorire l’accesso alla proprietà della casa senza discriminazioni etnico-razziali né di censo, quindi concedendo ipoteche anche a chi ha redditi modesti se non insufficienti. La legge ha introdotto per questo un complesso sistema di controllo e monitoraggio statale: diversi uffici federali verificano che le banche, nel concedere mutui, rispettino le quote minime di ripartizione fra le diverse etnie e le diverse categorie di reddito all’interno dell’intera regione in cui sono attive. Se una banca non rispetta queste quote, rischia di non essere più autorizzata ad operare in quella regione.

Come spesso capita, le buone intenzioni portano a conseguenze non desiderate. Una legge dai forti contenuti sociali ha determinato il moltiplicarsi dei mutui subprime.

Gli effetti negativi sono stati aggravati da un’altra legge, emanata sotto la presidenza Clinton: il Tax Payer Relief Act del 1997, che ha introdotto incentivi fiscali (parziale detassazione del capital gain) per le vendite immobiliari. In particolare, questa riforma ha esentato i primi 250’000 dollari (persone singole) e 500’000 dollari (coppie) di guadagni in capitale conseguiti dai proprietari di abitazioni primarie vendute sul mercato. Come aveva ammonito il premio Nobel dell’economia Vernon Smith, questo è il modo più sicuro per gonfiare una bolla speculativa nell’immobiliare. E così è stato.

 

Le regole di Basilea II
Terzo fattore che ha giocato un ruolo importante: le regole bancarie di Basilea II. Anche in questo caso un nobile intento (evitare la sovraesposizione al rischio) ha generato effetti non voluti. Queste regole limitano la facoltà delle banche di concedere crediti: il valore di questi ultimi non può oltrepassare una determinata quota del capitale della banca. Gli istituti di credito hanno così venduto le ipoteche a fondi di investimento paralleli, con contabilità separata. Per acquistare queste ipoteche, i fondi si sono fatti naturalmente prestare denaro. In questo modo, le banche si sono create ulteriori spazi per concedere nuove ipoteche.

Il grave errore, tanto del mercato quanto dello Stato, è consistito nel non aver saputo valutare adeguatamente il rischio legato al moltiplicarsi di questi debiti diffusisi nei complessi circuiti dei mercati finanziari tramite i nuovi strumenti di investimento e di assicurazione. Non lo hanno saputo fare gli istituti di credito, sebbene siano dotati di servizi e competenze specifiche per la valutazione del rischio. Non lo ha saputo fare lo Stato, sebbene abbia emanato diverse regolamentazioni del mercato finanziario. Non lo hanno saputo fare le autorità monetarie e nemmeno gli organismi di controllo del mercato creati dallo Stato, con in testa la SEC.

 

Fannie Mae e Freddie Mac
I precursori delle cartolarizzazioni, cioè degli impacchettamenti dei mutui a rischio, e i principali diffusori di questi prodotti “tossici” sono state due agenzie statali: Fannie Mae e Freddie Mac, che, prima della nazionalizzazione, erano due GSE (Governed Sponsored Enterprise: imprese garantite dal Governo). La prima fu creata dallo Stato durante il New Deal rooseveltiano; la seconda venne istituita nel 1975 dal Congresso, per non lasciare alla prima il monopolio nel settore. Fannie Mae fu “privatizzata” negli anni Settanta (mantenendo la garanzia implicita dello Stato) non in base ad una politica di privatizzazioni che allora non era ancora in voga, ma unicamente per liberare il bilancio statale da quel peso.

Non sarebbe successo nulla di quanto è successo da un anno a questa parte se i valori dei beni immobili negli Stati Uniti fossero continuamente aumentati. Ma non è stato così. L’inizio del crollo del mercato immobiliare è stato causato dall’aumento dei tassi di interesse deciso dalla Federal Reserve, che doveva ridurre il rischio di inflazione generato dalla sua precedente politica monetaria molto espansiva. È stato l’inizio della discesa in una voragine sempre più ampia e senza fondo. La garanzia per il sistema finanziario era data proprio dalla scommessa del continuo aumento dei valori immobiliari.

 

Errori e responsabilità condivise
La pesante responsabilità della Fed sta nel non aver valutato le conseguenze dell’aumento dei tassi di interesse su un mercato immobiliare ultraindebitato e in parte insolvente e su un mercato finanziario i cui vasi sanguigni erano intasati dalle tossine dei mutui subprime. La preoccupazione, forse eccessiva allora, per il rischio di inflazione ha portato alla sottovalutazione totale del rischio – ben più pesante – legato ai subprime derivante dall’aumento dei tassi di interesse. Una medicina troppo pesante contro un rischio debole di inflazione ha causato una reazione di segno opposto, con una nuova medicina (forti iniezioni di liquidità) che avrà a medio-lungo termine effetti inflazionistici pesantissimi. Gli Stati Uniti stanno pagando a carissimo prezzo questo grave errore di valutazione. E lo stiamo pagando tutti noi.

La crisi del sistema creditizio e la conseguente recessione economica non hanno un unico responsabile. Le tesi che statalisti da un lato e liberisti dall’altro si scagliano gli uni contro gli altri armati descrivono solo una parte della realtà. La realtà, come quasi sempre avviene, non è in bianco e nero. Se la Fed non avesse aumentato rapidamente il costo del denaro, dopo averlo tenuto artificiosamente basso per troppo tempo, la crisi non avrebbe assunto le proporzioni del disastro attuale. Se le banche non avessero concesso mutui a tutti, scommettendo sul continuo aumento dei valori delle case, lo scoppio della bolla sarebbe stato molto più contenuto. Se i mutui subprime non fossero stati venduti, impacchettati e dispersi in strumenti finanziari sofisticati, di cui ad un certo punto nessuno ha più avuto un vero controllo, l’aumento del costo del denaro non avrebbe avuto le conseguenze che invece ha avuto. Se le leggi degli Stati Uniti non avessero obbligato a concedere ipoteche a persone insolventi e non avessero incentivato la speculazione immobiliare, non si sarebbe creata la bolla che la politica della Fed ha poi fatto scoppiare. Se gli organismi di controllo avessero svolto per bene il loro lavoro, probabilmente la politica largheggiante di concessione dei mutui, di impacchettamento e di trasferimento in contabilità separate di questi crediti non avrebbe intossicato l’intero sistema finanziario.

 

La “tempesta perfetta”
V’è stato invece un concorso di errori, manchevolezze e corresponsabilità che ha dato origine ad una “tempesta perfetta”: tutti i fattori negativi, ad un certo punto, si sono sovrapposti. Ora se ne stanno sovrapponendo altri. I megapiani di intervento pubblico in atto o in gestazione in quasi tutti i Paesi colpiti dal disastro finanziario tentano di curare il male con le medesime tossine che lo hanno fatto esplodere: i debiti. È come curare un alcolizzato facendolo bere ogni giorno di più. Per questo si stenta a vedere la fine del tunnel.

 

Marina Masoni
febbraio 2009

Pubblicato il: 10/02/2009