Creare e attirare lavoro in Ticino è l’impegno prioritario per una regione aperta alla concorrenza, con un’economia molto orientata alle esportazioni, una piazza finanziaria internazionale, nel contesto degli accordi bilaterali tra la Svizzera e l’Unione europea. Spetta prima di tutto allo spirito imprenditoriale realizzare questo impegno. Ma l’ente pubblico ha il compito di favorire gli investimenti e le attività che creano e portano lavoro in Ticino.

Fa piacere constatare che alcuni strumenti pensati e introdotti quando il nostro cantone attraversava una gravissima crisi occupazionale (metà anni Novanta) sono oggi valutati quasi da tutti in termini molto positivi. Uno di questi è la Legge sul rilancio dell’occupazione e sul sostegno ai disoccupati (L-rilocc). Questa legge, per molti versi coraggiosa, è una delle famose 101 misure di sostegno al rilancio economico del Ticino che il Dipartimento delle finanze e dell’economia elaborò nel 1996. Ricordo bene la genesi della legge: la drammatica crisi del lavoro di quegli anni era la principale preoccupazione per me che ero da poco stata eletta nel Governo cantonale; rilanciare la creazione di impieghi era l’obiettivo fondamentale della politica economica allora delineata.

L’idea della riforma venne inserita nel Rapporto sulle 101 misure dell’aprile 1996. Nella consultazione che ne seguì la valutazione fu positiva. Quando presentai ai servizi del DFE la primissima bozza di riforma, alcuni funzionari sobbalzarono per la portata finanziaria della proposta. Ma il lavoro di affinamento venne fatto celermente e oserei dire con entusiasmo.

La legge con il relativo messaggio venne quindi portata in Consiglio di Stato, che inserì il progetto L-rilocc nel pacchetto di messaggi del 21 marzo 1997 finalizzati al rilancio economico. Il Gran Consiglio approvò la riforma il 13 ottobre 1997. Non mancarono, in aula, voci critiche. Era in voga a quel tempo la teoria rifkiniana della crescita senza occupazione, da molti seguita e ripetuta con conformismo. L’allora deputato Giuseppe Sergi si disse molto scettico sul successo delle misure previste dalla legge e – se non ricordo male – soprattutto sull’incentivo all’assunzione, il contributo alle imprese che creano nuovi posti di lavoro e che finanzia integralmente per due anni gli oneri sociali a carico del datore di lavoro. Non svelo un segreto di Stato nel dire che in Governo, allora, dovetti motivare in maniera dettagliata e solida questa scelta di alleggerire le imprese del costo degli oneri sociali per indurle a creare posti di lavoro.

La legge per finire entrò in vigore il 1. marzo 1998. Oltre 12 anni di applicazione hanno dimostrato quanto quella riforma sia stata utile a far uscire il Ticino dalla crisi del lavoro scoppiata nella prima metà degli anni Novanta. Nel 1991 i posti di lavoro in Ticino erano 170’376; nel 1998 erano diminuiti a 151’170. La nostra economia aveva quindi perso 19mila impieghi. La disoccupazione era balzata dall’1,9% del 1990 al 7,8% del 1997. Gli incentivi della L-rilocc, dal marzo 1998 al giugno 2010, hanno contribuito a creare in Ticino circa 12mila nuovi posti di lavoro riservati a persone residenti nel nostro cantone. Più della metà di questi posti (6’900 in tutto) sono stati creati con il contributo dell’incentivo all’assunzione. Poi l’economia ha creato impieghi anche senza gli incentivi statali: a fine 2008 vi erano così in Ticino 178mila posti di lavoro, 27mila in più rispetto a dieci anni prima.

Questi risultati oggi sono riconosciuti unanimemente e la legge è lodata quasi da tutti. È motivo di soddisfazione per chi si era battuto per vararla, ma soprattutto è rassicurante poter contare su questo strumento nel quadro di un mercato del lavoro sottoposto alla concorrenza e alla pressione derivante dall’apertura introdotta con gli accordi bilaterali. Senza la L-rilocc probabilmente il Ticino non avrebbe creato dal 1998 ad oggi le migliaia di impieghi che ha creato. Questa crescita non basta certamente ad annullare la disoccupazione, ma senza di essa la situazione sarebbe oggi assai più preoccupante e molte persone e famiglie che possono contare su un lavoro ne sarebbero prive. Il medesimo impegno deve essere rivolto a chi sta oggi cercando occupazione.

Marina Masoni
novembre 2010

Pubblicato il: 08/11/2010